La cacciatrice

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view post Posted on 27/1/2009, 15:37




La vide arrivare camminando veloce sui tacchi a spillo, con la valigia che la seguiva come un cane fedele; dapprima pochi frammenti confusi tra la gente che ancora scendeva dal treno: una spalla, una chioma di capelli castani, una mano che gettava una sigaretta sui binari. Poi la folla si diradò, si divise in due ali a far da contorno ad una figura di donna, curve esplosive, labbra carnose lucide di rossetto, ed un sorriso ironico a far da eco alla sua espressione allibita.
“Sei bellissima” disse Danilo
“Lo so” rispose divertita Monica

Si erano conosciuti in rete alcuni mesi prima, lei scrittrice di romanzi brevi, lui curatore di un sito che ne pubblicava.
L’iniziale perplessità di Danilo nei confronti di quella donna misteriosa si era presto trasformato in uno stato di perpetua ricerca della sua presenza in rete, spesso frustrata nei periodi in cui, per nessun motivo apparente, restava assente, per tornare più esuberante ed affascinante di prima.
Il giorno in cui lei gli aveva mandato la sua foto per la presentazione sul sito, lui non aveva creduto ai suoi occhi. Era bellissima e provocante; nell’espressione dei suoi occhi divertiti c’era ironia, nella posa della sua testa un’interrogativo, nelle forme del suo corpo la promessa di piaceri impossibili.
Incapace di resistere era caduto in una rete che lui stesso aveva intessuto, e che lei aveva chiuso il giorno in cui gli aveva detto “Voglio incontrarti”.
“Sono sposato, lo sai” aveva ribattuto lui.
E lei, dando la stretta definitiva alla trappola, aveva detto “Non ti chiedo la vita, solo una notte”

Era così che si era trovato in testa ad un binario della stazione di Napoli, a fissare negli occhi la donna più bella che avesse mai visto, incapace di dire la benché minima frase. Ma chissà come, sembrava non fosse necessario.
Non ci fu bisogno di discorsi impacciati o corteggiamenti, perché lei lo prese per mano e lo condusse ad un taxi, dando l’indirizzo di un albergo dove, gli comunicò, aveva già prenotato una camera per loro due. La proprietaria, compiacente, non avrebbe chiesto documenti se fosse stata pagata in anticipo; nessuno avrebbe chiesto loro niente, nessuno avrebbe mai saputo dove avessero passato le prossime ore, aggiunse, se lui stesso non l’avesse detto a qualcuno.
“Non potrò mai dirlo a nessuno” realizzò Danilo “se non voglio correre il rischio che mia moglie lo venga a sapere”. Ma, Dio, com’era forte la tentazione di pavoneggiarsi per strada con quella creatura stupenda al fianco, dicendo a tutti “lei vuole me”.
Arrivarono all’albergo in pochi minuti, o forse ore, chissà; alla reception il denaro passò di mano e venne loro data una chiave, camera 13, un numero impossibile da dimenticare per Danilo, ormai, e si avviarono mano nella mano lungo il corridoio. Lo specchio sul fondo rivelava l’immagine di una coppia affiatata, lei di mezzo passo avanti a lui, quasi lo guidasse, e lui perso in contemplazione del riflesso delle sue gambe perfette visibili sotto l’orlo della gonna di satin.
Non ci fu imbarazzo neanche una volta che la porta fu chiusa alle loro spalle, perché lei si tolse la giacca, la appoggiò con grazia su una sedia, ed in un attimo fu tra le sue braccia, ogni centimetro del suo corpo che aderiva a lui, trovando concavità perfette dove poggiare le sue curve, non scostandosi al contatto della sua turgidità ma, anzi, strusciandovisi contro voluttuosamente.
Il bacio prese vigore, le lingue guizzarono, le mani di lui si persero prima nei suoi capelli facendone esalare un inebriante profumo, poi furono sui suoi seni, sui suoi fianchi, ed infine avvinghiate alle rotondità perfette delle sue natiche.
Lei si staccò da lui e, guardandolo negli occhi, fece scorrere con deliberata lentezza la cerniera lampo sul retro della gonna, lasciando che l’indumento scivolasse alle sue caviglie. Un colpo di tacco e volò via, dimenticata. Poi fu la volta della camicetta, un bottone dopo l’altro, sempre inchiodando gli occhi di Danilo nei suoi. Lui percepì più che vedere che Monica portava nient’altro che un reggiseno pressoché inconsistente, sotto il cui tessuto velato i capezzoli premevano impertinenti, e slip altrettanto impalpabili. Non portava calze, e la sua mano fu guidata con decisione nell’umido calore che si celava tra le sue gambe, ed al suo ansito lei rise “vuoi restare vestito di tutto punto o intendi spogliarti prima o poi?”
Mentre lui si toglieva, goffamente, gli indumenti, rivelando a sua volta un paio di boxer deformati dal turgore ormai enorme, lei aspettò seduta sul bordo del letto, a gambe incrociate, sempre con quel mezzo sorriso divertito che le sfiorava gli angoli della bocca, ridendo di più con gli occhi, non di lui ma con lui.
Un breve richiamo, il flettersi di un dito, e lui fu su di lei, ad esplorare con le mani, gli occhi e la lingua ogni centimetro della sua pelle. E lei rispondeva con ansiti di piacere e brevi esclamazioni quando lui stimolava parti particolarmente sensibili, non smettendo un solo attimo di percorrere a sua volta il corpo di lui con le unghie e con le dita, provocando talvolta piacere e talvolta dolore che era altrettanto piacevole.
Gli indumenti restanti parvero dissolversi.
Approfittando di una breve pausa lo distese sul soffice copriletto, ed in un attimo fu su di lui, attorno al lui, muovendo il suo corpo con un ritmo lento e costante, scendendo lungo la sua virilità per poi risalire, a volte sostando prima di ridiscendere, a volte impalandosi con una tale energia da schiacciarlo sotto il suo peso.
“Ti prego, rallenta” disse Danilo “voglio resistere, voglio goderti il più a lungo possibile” e così dicendo la prese, la sdraiò supina e si dedicò a provocare il lei il primo orgasmo, stimolandola con la lingua e con le dita finché lei non ebbe gridato il suo piacere al soffitto intonacato di rosa. Era splendida soprattutto in quel momento, con i seni che si sollevavano ritmicamente mentre respirava a brevi ansiti, la pelle bianca imperlata di minute gocce di sudore, e l’odore del suo sesso che permeava la stanza, il più inebriante dei profumi.
Pochi minuti furono sufficienti perché lei si riprendesse, una luce selvaggia ancora negli occhi, e si voltasse su di lui prendendogli in bocca il membro, dedicandosi a ricambiare il piacere appena provato con uno altrettanto grande. E quando si accorse che l’orgasmo era ormai imminente, lo spinse più a fondo nella sua bocca in modo da poter contenere tutto il suo seme, nutrendosene come fosse stato il più prezioso dono.
“Adesso dovremo aspettare” disse Danilo, quando fu di nuovo in grado di parlare, ancora beandosi della sua vista e maledicendo le circostanze che avrebbero relegato quell’incontro nel più profondo del suo animo, desiderando sempre di più di gridare il suo desiderio e la gratitudine al mondo.
“lo so tesoro, non preoccuparti” disse lei “mentre aspettiamo possiamo fare qualche gioco insieme, se ti va”
Avvertendo già i primi sintomi di desiderio rinnovato al pensiero di quali potessero essere i “giochi” a cui si riferiva, lui annuì con forza, e restò a guardare mentre lei dalla borsa estraeva due lunghe sciarpe di seta nera, con dei ricami rossi. Lo guardò un lungo momento, come valutandolo, poi disse “Vorrei legarti al letto, adesso, e giocare col tuo corpo. Voglio che tu sia alla mia mercé, voglio godere di te e farti godere senza che tu possa muoverti. Che ne dici?”
Era il suo sogno; una donna che sapesse godere dei piaceri della carne che facesse di lui cosa volesse. L’aveva sempre voluto, desiderato, ma sua moglie era troppo timida, troppo inibita sessualmente per poterle solo proporre una cosa del genere. Per tutta risposta lui si sdraiò. Allargò le braccia e le gambe e disse “Sono tuo”.
Ancora quel sorrisetto, ancora il guizzo divertito nei suoi occhi.
“Lo so” fu la risposta di Monica.
Lo legò, prima i polsi, poi le caviglie. Si assicurò che non potesse muoversi, poi si avvicinò di nuovo alla valigia di pelle. La avvicinò al bordo del letto, fuori vista di Danilo, poi si dedicò a far tornare vigorosa quella parte di lui che si era sopita dopo il recente orgasmo. Quando fu di nuovo eretto, lei prese un unguento dalla valigia, ne spalmò copiosamente il membro di Danilo, per poi impalarsi con decisione in un atto di sodomia così naturale da far capire che quella pratica era una sua abitudine consolidata. Per Danilo era invece un’esperienza totalmente nuova, e sentirsi stringere da quell’anello di carne in modo così tenace, come nessun rapporto consueto aveva mai concesso, lo precipitò verso un piacere di gran lunga superiore a quello precedentemente provato.
E lei, ansante, sorretta dalle leve potenti delle sue gambe, si chinò ancora una volta verso la valigia, mormorando “Sai, io ho un vezzo, diciamo un piccolo hobby. Prendo sempre un souvenir dei miei incontri. All’inizio erano cravatte, poi biancheria maschile. Adesso mi sono specializzata” e così dicendo trasse dalla borsa un paio di cesoie al cui interno imprigionò l’ultima falange del dito mignolo di Danilo, il quale, ormai in preda all’orgasmo, si accorse di quanto stava succedendo quando fu troppo tardi, ed un dolore terribile gli esplose lungo il braccio sinistro.
Lei gridò il suo orgasmo facendo eco all’urlo di dolore di Danilo, masturbandosi furiosamente con la mano libera. Quando tutto fu finito, e Monica si fu rivestita, liberò la mano integra dell’uomo stravolto che giaceva sul letto intriso di sangue.
“Ciao tesoro” disse, ancora, incredibilmente, sorridendo “è stato fantastico”.
La vide uscire dalla stanza e dalla sua vita, paralizzato dal dolore alla sua mano mutilata.
E dalla consapevolezza che non avrebbe mai potuto riferire niente a nessuno
 
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